Marina Abramović

di Alessia Gorfini, Giulia Bassanelli, Kleona Morini

Marina Abramović è un’artista concettuale e performativa serba. Definita come “ la nonna della performance art”, le sue performance più conosciute sono: Ritmo 10 , Ritmo zero .
La Abramović è nata a Belgrado , in Serbia , allora parte della Jugoslavia , il 30 novembre 1946; era nipote di un patriarca della Chiesa ortodossa, proclamato santo dopo la morte ed entrambi i suoi genitori Danica Rosić e Vojin Abramović  erano partigiani jugoslavi durante la seconda guerra mondiale . Dopo la guerra, i genitori di Abramović furono insigniti dell’Ordine degli eroi del popolo e ricevettero incarichi nel dopoguerra nel governo jugoslavo. 
Abramović è stata cresciuta dai nonni fino all’età di sei anni. Sua nonna era profondamente religiosa e Abramović racconta che ha trascorso la sua infanzia in una chiesa seguendo i rituali di sua nonna: “candele al mattino, il prete veniva per diverse occasioni”. Quando aveva sei anni nacque suo fratello e iniziò a vivere con i suoi genitori mentre prendeva anche lezioni di pianoforte, francese e inglese.  Sebbene non abbia preso lezioni d’arte, si è interessata presto a questo argomento e si è divertita anche a dipingere. 
La vita nella casa dei genitori di Abramović sotto la stretta supervisione di sua madre era difficile. Quando Abramović era una bambina, sua madre la picchiava per il fatto di “mettersi in mostra”. 
 In un’intervista pubblicata nel 1998, Abramović ha descritto come sua madre abbia preso il controllo completo di lei e suo fratello, in stile militare. Non le è stato permesso di uscire di casa dopo le 10 di sera fino a quando non aveva 29 anni. Tutte le esibizioni che ha fatto in Jugoslavia, sono state eseguite prima delle 22:00, proprio perché doveva essere a casa allora.

È stata studentessa presso l’ Accademia di Belle Arti di Belgrado dal 1965 al 1970. Ha completato i suoi studi post-laurea presso l’ Accademia di Belle Arti di Zagabria. Successivamente è tornata in Serbia e, dal 1973 al 1975 , ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Novi Sad mentre lanciava le sue prime esibizioni da solista. 
Nel 1976, in seguito al matrimonio con Neša Paripović (tra il 1971 e il 1976), Abramović si recò ad Amsterdam per eseguire un pezzo dove conobbe Ulay (1976); il loro fu un amore a prima vista.
Si fecero chiamare “The Other”; tra le opere della coppia ricordiamo “Relation in time” (1977) durata 17 ore nello Studio G7 di Bologna e “Imponderalia”(1977), realizzata sempre a Bologna nella galleria GAM.

Altra performance fu “Death Itself”, in cui i due univano le labbra e respiravano l’aria dell’altro fino a terminare l’ossigeno a disposizione. Dopo 17 minuti, la coppia cadeva a terra priva di sensi. La volontà era esplorare la capacità dell’individuo di assorbire e distruggere la vita altrui.
L’addio tra Marina e Ulay avvenne nel 1988. La fine della loro relazione venne sancita dall’ultima performance, che li vide percorrere più di duemila chilometri della Grande Muraglia Cinese.
Marina ed Ulay si rincontrarono 23 anni dopo l’addio sulla Grande Muraglia Cinese, in occasione di “The Artist is Present”, la celebre performance della Abramović svoltasi nel 2010 al MoMA di New York.

COS‘É LA PERFORMANCE ART?
Si tratta di un’azione artistica, presentata solitamente in pubblico, ricca di aspetti interdisciplinari. Spesso questa coinvolge uno o più dei quattro elementi base : tempo, spazio, corpo o in alternativa la sua presenza medium.

L’arte performativa è una manifestazione artistica che si basa sulle diverse abilità espressive del corpo umano. È caratterizzata da valori riconducibili all’anticonformismo, superando tutti gli schemi imposti dalla società. Si dà spazio invece alla riflessione individuale, libera e allo stesso tempo profonda. Ciò che conta è il lavoro su se stessi e sul proprio ruolo di essere umano e sociale .

Tra le sue opere principali possiamo ricordare:

“Rhythm 0” del 1974 tenutasi a Napoli nello Studio Morra; l’artista si pone alla mercé del suo pubblico che avrebbe potuto farle qualsiasi cosa loro avessero voluto. La situazione è degenerata quando scoppiò una lite tra chi inveiva contro Abramović e chi tentava di difenderla.

In “Lips of Thomas” porta il suo corpo oltre i limiti e propone una performance cruda ed estrema, in cui giunge a incidersi il ventre e a richiamare riti ancestrali di purificazione. Il pubblico presente non poteva rimanere a guardarla e, scosso da quanto stava accadendo, la allontana per metterla in salvo da uno stato che sarebbe potuto sfociare nel congelamento. L’intento di questa tensione psicologica nei confronti del pubblico è suscitare una reazione e una partecipazione alla visione della contemporaneità, dove il pubblico diventa tutt’uno con l’artista.

Collaborazione con Ulay

Frank Uwe Laysiepen, in arte “Ulay”ex ingegnere tedesco, ha trovato nell’espressione artistica e performativa la sua vocazione. Marina Abramović e Ulay iniziano a lavorare insieme fino al 1988, anno della separazione sia professionale sia sentimentale.

I due hanno debuttato con la performance “Imponderabilia”, nel 1977, alla Galleria d’arte moderna di Bologna.

La performance consiste nel posizionarsi completamente nudi l’uno di fronte all’altra, sulla soglia di uno stretto ingresso che conduceva alla mostra. Il pubblico, che doveva necessariamente passare in mezzo ai due artisti, poteva girarsi verso l’uomo o verso la donna. Le forze dell’ordine hanno ritenuto troppo scandaloso questo estro artistico e hanno allontanato i due artisti.

Marina Abramović e Ulay tengono la loro ultima performance sulla muraglia cinese, realizzando un’opera piena di significati e interpretazioni: “The Lovers”. Abramović, partendo da un capo della muraglia e Ulay dall’altro, si incontrano a metà del percorso dopo aver camminato per 2500 km.

“The artist is present” del 2010 si tenne a New York . L’artista rimase seduta, di fronte ad un tavolo e ad una sedia vuota , impassibile e disponibile a far sedere chiunque volesse sedersi in quella sedia.

Lo spannung ebbe luogo quando Ulay occupò quella sedia e sorrise sua ex partner. Il loro ricongiungimento commosse sia il pubblico presente sia i due artisti.

“Rest Energy” (1980), Marina Abramović tese un arco verso di sè e Ulay reggeva la freccia che, alla minima distrazione, avrebbe rischiato di ferire l’artista serba. L’intento era di rappresentare la fiducia che l’essere umano ripone nell’altro, rischiando di subirne le conseguenze.