Ogni mattina, come ogni mattina

di Francesco Arrigucci

Ogni mattina, come ogni mattina, mi sveglio all’orario canonico delle 7. Una luce potentissima mi acceca, penso di essere in paradiso, ma, rischiando di bruciare i miei occhi, prendo coscienza che è la luce da studio che mi fissa, come ogni mattina.

A questo punto mi alzo, spengo la lampada e inizio vestirmi, al buio, come una talpa. Rischio di rompere i jeans strappati più di quello che non siano già, cercando disperatamente il verso giusto per indossarli. Dopo una lunga agonia per decidere il resto dell’outfit della mattina, alle 7:15 sono vestito.

Mi reco nel bagno dove un’altra luce mi acceca: quella dello specchio. Mi do una lavata veloce e una sistemata ai capelli, anche se non si può definire proprio una sistemata. Dopo essermi riabituato alla luce solare, approdo in cucina, dove mi attendono una bella tazza di latte e le mie amatissime gocciole. Uno dei pochi momenti soddisfacenti della giornata che mi attende. Mi siedo, sono le 7:20 e dopo un attimo sono le 7:40 e ancora non ho finito di bere il latte. Quindi, mentre bevo, mi chiedo il senso del tempo. Mi fiondo nel bagno, mi lavo i denti e contemporaneamente impreco contro i miei capelli, che non stanno dove dovrebbero stare. 

Metto il cappotto, prendo lo zaino e alle 7:50 sono in strada. 

Metto le cuffie e silenzio! Momento di distacco. Inizio il mio cammino verso scuola ascoltando la musica e mi immergo in pensieri che mi rattristano: penso al senso della vita e alla mia vita in generale. Pensieri per lo più tristi ma a volte anche sereni. 

Dopo essermi immedesimato in Socrate e di essermi scervellato abbastanza, arrivo a scuola. Cavalco l’onda di studenti e riesco a “badgare”; arrivo in classe dove la mia realtà mi accoglie. Saluto i miei amici, attacco il giubbotto all’appendiabito e mi siedo al mio posto. A questo punto il mio umore può variare molto: rassegnato, arrabbiato, felice, soddisfatto, distratto, svogliato, sconsolato, triste o irritato. Perlopiù sono rassegnato. Ma a risollevare la giornata ci pensano le inesauribili parole di tutti i miei amici. Inizio a parlare con loro di tutti i nostri problemi, passioni, desideri, interessi e stupidaggini. La mia testa è già libera dai pensieri di Socrate. 

Arriva in classe il primo professore: il mio glossario di espressioni varia da un estremo all’altro, realizzando che giornata sto per vivere. Cerco di seguire le lezioni e prendere appunti, per evitare i sensi di colpa che mi attanaglieranno il giorno prima di un compito. Durante il cambio dell’ora io e Riccardo facciamo un po’ di satira sui professori: muoio dalle risate, ora sono un po’ più sereno (non ve ne abbiate a male, lo abbiamo fatto tutti). 

“Carpe Diem”, vivo il giorno e accolgo ogni attimo come fosse l’ultimo.

Insomma la mia giornata scolastica non è come tutti pensano: ci sono tanti momenti piacevoli, battute con gli amici, compagni di un viaggio di crescita. Seppur faticosa, la giornata acquista sempre un suo perché. Passano le ore più o meno velocemente e più o meno veloce è l’alternarsi del mio stato d’animo.

Suona l’ultima ora, saluto i miei compagni e do loro appuntamento per la mattina successiva, alle 8:10, al mio banco.

Mi avvio verso casa e silenzio! Le cuffie sono collegate; io ci sono: posso ritornare ad essere Socrate, con i miei pensieri che mi attanagliano costantemente.